L’Europa non capisce la Russia. Mercato contro patriottismo
Trovarsi in Russia in un momento come questo, pur da studente squattrinato, è, per certi aspetti, un privilegio. Non tanto perché è molto conveniente fare la spesa e andare a teatro, grazie al tasso di cambio dell’Euro che, in questi giorni, si aggira intorno a quota 67 rubli; molto più interessante è osservare l’effetto economico e soprattutto politico delle sanzioni di UE e USA.
Le sanzioni sono uno strumento squisitamente occidentale, diciamo Americano, per rimettere i riga gli “stati canaglia». Sono un’arma spesso inefficace, ma che si sta affilando sempre di più. Se decenni di sanzioni non sono riusciti a rovesciare i regimi di Cuba e Nord Corea, è possibile che Putin, se non trova mercati e fonti di sviluppo e di credito alterativi all’Occidente, possa perdere molta della popolarità che ha ottenuto con il suo quindicennio d’incredibile crescita economica. Tanto più che le sanzioni colpiscono la Russia in un momento difficile: il prezzo del petrolio è sceso intorno ai 60 dollari al barile, i prezzi salgono a vista d’occhio e l’ economia russa è ufficialmente in recessione.
Ma al cittadino russo importa poco dei numeri. Ciò che più ferisce i Russi, popolo molto suscettibile, è che l’Europa si sia messa a fare da pappagallo all’America e abbia, a propria volta, imposto sanzioni. Più volte, giovani e meno giovani, da studenti a baristi, mi hanno espresso il loro sincero dispiacere per questa situazione, che loro prendono sul personale, e si sono molto rasserenati quando garantivo loro che io, al posto dell’UE, non avrei imposto questo tipo di sanzioni. I Russi amano gli europei e vogliono i prodotti europei. E’ divertente aggirarsi per i supermercati e contare la quantità di riferimenti all’Europa. Ne ho appuntati alcuni. Sul latte in polvere ed il caffe spesso si trova scritto« qualità europea». Il caffè istantaneo, tipo Nescafé, ma russo, richiama «le mattine a Parigi». La passata di pomodoro è «buonissima», e la marca locale di pasta annuncia che è proprio cosi che mangia « la vera Italia».
Sembrerebbe, dunque, semplice: vietare ai russi i prodotti europei e peggiorare gli indicatori macroeconomici è sufficiente per causare una rivolta anti Putin e, quindi, un riallineamento alla visione del mondo di Washington. Forse sarà cosi e non sarebbe, forse, un male per la Russia trovare un nuovo leader, ma l’Europa e l’ America non capiscono fino in fondo che la Russia, prima di essere un Mercato, è una Patria.
C’è un fattore storico. La Russia per quanto si avvicini all’Europa, resta sempre Russia. Si pensi alla campagna militare di Napoleone. La classe dirigente russa e gli alti ranghi dell’esercito erano talmente esposti all’influenza della Francia che non solo parlavano francese meglio del russo, ma addirittura, durante la guerra, gli ufficiali russi erano vestiti come gli ufficiali francesi. Questo creava non pochi problemi, e succedeva che ufficiali russi finissero crivellati dai colpi dei propri soldati. I generali e ufficiali russi allora non trovarono altra soluzione che smettere di radersi. Con la barba tornò a poco a poco la lingua russa e l’idea del popolo russo come popolo eletto, benedetto da Dio. E, quando Napoleone entrò a Mosca, i generali russi ordinarono di appiccare il fuoco alla città per non farla cadere nelle mani di un francese, per quanto straordinario.
Il popolo russo, se vuole, può soffrire pene indicibili, e non c’è argomento più convincente per lui che farlo in nome della terra russa. Nessuna sanzione eguaglierà mai la carestia indotta dall’assedio di Leningrado, protrattosi per 900 giorni ad opera dei tedeschi, assedio ancora fresco nelle menti e nell’identità di Pietroburgo, definita “citta eroe” dal governo Russo.
Oggi, peraltro, non c’è bisogno di autodistruggersi, né di soffrire la fame, per salvaguardare la propria identità. Il mondo non è solo l’America e l’Europa. Se le altre nazioni BRICS, dotatesi da luglio di una propria banca di investimento, la New Development Bank, riusciranno a fornire il credito necessario, forse le cose possono cambiare. In un mondo multipolare, le fonti di sviluppo e di credito devono essere tante e non solo l’occidente. Un occidente che fatica sempre più a capire la Russia, e quindi a dialogare sullo stesso piano. Turchia, Cina e India, al contrario, hanno firmato o negoziato negli ultimi mesi contratti da favola col governo russo, ottenendo chi sconti sul gas, chi promesse di ulteriore cooperazione in termini di energia, sicurezza e sviluppo.
La Russia, come diceva Churchill, è un indovinello racchiuso in un enigma avvolto in un mistero. Ma oggi, a differenza di allora, non c’è solo l’occidente a cercare di risolverlo. Se i cinesi, gli indiani o i turchi arrivassero alla soluzione prima di noi?
Raimondo Lanza di Trabia