“Un po’ d’ossigeno contro chi esalta la decrescita felice”. Apre così Pierluigi Battista del ‘Corriere’ uno sfogo liberatorio contro quanti abiurano la fede nello sviluppo. Battista si dichiara rinfrancato dalla pubblicazione di un libro Contro la decrescita “che andrebbe consigliato a chi non riesce a capacitarsi che un passato di penuria e miseria, dolore e rassegnazione, possa essere indicato come un’Età dell’Oro. Un manuale utile per rintuzzare le solite, lugubri geremiadi contro il consumismo”. Da qui Battista procede a rievocare com’era grama, a volte drammatica, la condizione della maggioranza sociologica del pianeta prima dell’industrializzazione, del rigoglio tecnologico-scientifico, delle vaccinazioni, degli altri miracoli della medicina. Prima della perfetta felicità in cui viviamo, oggi che il progresso non la dà vinta ad alcuna malattia e il mercato sana tutte le afflizioni.
Gli anatemi del Nostro contro la Carboneria antisviluppista sono ovviamente giusti: purché possa sostenere che l’anticonsumismo e l’elogio della sobrietà vogliono il ritorno all’infelicità dei miseri, alle ristrettezze estreme, allo strazio della mortalità infantile, il ritorno alle tragedie senza numero di quando la scienza medica conosceva quasi solo salassi e clisteri, e l’arte del vivere non aveva raggiunto l’inimitabile sofisticazione d’oggi.
Va data ragione a Battista: sempre che l’Età dell’Oro sia il consumismo; che la diffusione del benessere non abbia comportato alcun costo e alcuno scompenso; che la redditolatria non abbia allargato i divari sociali, devastato l’ambiente, comprato le anime. Basterà dare queste dimostrazioni e il buon diritto di Pierluigi Battista trionferà. Emergerà che il perseguimento di sempre più reddito non è né ossessivo, né corruttore. Che i consumi sono tutti sacrosanti. Che i benestanti di un tempo sbagliavano a contentarsi di ciò che avevano, che i benestanti d’ oggi fanno bene a esistere per arrivare allo yacht.
Basterà convincerci che gli imprenditori suicidatisi nel Nord-Est si sono immolati per l’Ideale; che gli intonachisti non devono fare a meno del Suv per trasportare secchi e fustini; che l’operaio d’oggi sarebbe un reietto se ciascun familiare adulto non possedesse un’auto propria e non facesse crociere in navi alte dieci piani. Basterà convincerci che, in virtù delle rising expectations, i rappresentanti del popolo e i servitori della collettività non esigono più tangenti di un tempo. Che è fisiologico lo straripamento in sovraricchezza dell’One per Cent. Che i mali e le storture dell’ipereconomicismo sono immaginari. Che insomma gli Dei ci vogliono così: invasati di cupidigia.
Eppure Battista finge di non sapere che chi propone la decrescita non addita l’idillio dell’Eden, né suggerisce di regredire a quando pellagra e Tbc infierivano sui poveri. Apertosi il terzo millennio, e a valle di una crisi grossa, decrescita vuol dire semplicemente rinuncia alla crescita. Basta crescita: ci siamo sviluppati fin troppo. Gli imperativi e le aspirazioni sono cambiate. Retrocedere a come eravamo vent’anni fa non sarebbe straziante. I privilegi di quando i paesi industrializzati erano allo zenit della prosperità erano insostenibili: i nodi sarebbero venuti al pettine anche senza la caduta di Lehman Brothers. In più si è dispiegata la capacità competitiva dei più vitali tra i paesi poveri. Oggi che la Cina produce beni essenziali per il mondo intero, in astratto non ha più senso che la merce X venga fabbricata, metti, in Italia. Quando i costi di produzione cinesi si impenneranno, altre società ex-arretrate toglieranno mercati ai prodotti occidentali.
Decrescita vorrà dire adeguamento alla realtà, valorizzazione di quelle positività che riusciremo a difendere.
Si indeboliranno le spinte che avevano portato a livelli di reddito innaturali, ma la decrescita non ci immisererà. Perdere un decimo o un quinto di redditi gonfiati non sarà miseria, se politiche redistributive aiuteranno i più deboli. Si abbasseranno gli stili di vita. Si attenueranno l’adorazione della carriera, la sacertà stessa del lavoro. Si indebolirà l’identificazione tra felicità e possesso individuale. La decrescita riabiliterà la vita semplice, riabiliterà persino alcune ristrettezze: ci affrancheranno da alcuni dei costi del consumismo e dell’edonismo.
Questi due idoli non hanno portato in tribunale un’Infanta di Spagna, figlia e sorella di Re, sotto l’accusa di avere frodato il contribuente, quasi essa fosse un normale impostore della democrazia rappresentativa, questa sì Paradiso in terra?
Porfirio