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NON BERGOGLIO MA UN DISCEPOLO RIPUDIERA’ ROMA PER LIBERARCI DAL NICHILISMO

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Emile Ollivier primo ministro di Napoleone III, il regista dell‘Empire libéral,  giudicò che l’Italia da poco unita aveva sbagliato a mettere la capitale a Roma. Analogamente possiamo giudicare che la Chiesa di Bergoglio sbaglia a restare a Roma.

Se non questo pontefice, ancora tradizionale malgrado le apparenze, ma un suo successore abbandonasse la metropoli  sconciata  dai misfatti di gran parte dei secoli del papato, provocherebbe un sisma forte da deviare la storia. Diverrebbe un nuovo Maometto  creatore di civiltà, il  Mosè condottiero dell’ Esodo dalla cattività del denaro e del nichilismo. Intanto, ripudiando la continuità romana, toglierebbe ragion d’essere alla separazione voluta mezzo millennio fa da Lutero; forse anche la contrapposizione con le Chiese orientali.  Ma soprattutto il papa della Grande Abiura, guida e rigeneratore della Cristianità intera, risulterebbe il maestro che l’Occidente non ha. Più che mai sarebbe  la figura più importante del nostro tempo, capace di proporre svolte a un mondo povero di valori, sostanzialmente senz’anima.

Perchè un papa rivoluzionario, quale Bergoglio forse non ha provato a essere, si catapulterebbe a leader di tutti i leader? Risposta, la rinuncia a una stanca conformità romana attesterebbe in lui un coraggio che non è alla portata di alcuno dei personaggi di statura mondiale. Chi si attenderebbe qualcosa di ideale dai Grandi che conosciamo?

Dopo il tempo santo delle catacombe e dei martiri Roma è stata il luogo delle colpe gravi e dei veri e propri delitti della Chiesa di vertice: nepotismo, simonia, idolatria del potere, della ricchezza e del fasto, molti altri tradimenti del Vangelo e dei poveri (v. in “Internauta”, novembre 2014, il breve e-book “Dieci secoli turpi del papato”).

Ripudiare Roma a favore di un altro angolo della Terra -ideale, anche se inaccessibile, un monastero tra i monti- avrebbe il senso di una rinascita, di una nuova aurora. Né la  basilica di Pietro onusta di peccati, né i palazzi apostolici sono congeniali alla svolta valoriale  che il mondo attende: anche se è disilluso da un Francesco che, passate le dolci promesse delle prime settimane, si è assestato sui canoni della tradizione. Allocuzioni, appelli, Angelus, confidenze rassicuranti. Ha proclamato  un tot di Santi. Nella Curia ha deciso destituzioni e promozioni che ai columnists specializzati sono apparse audaci. Ancora nessuno degli atti rivoluzionari che alcuni mesi fa sembravano incombere.

La Città Leonina e i palazzi apostolici non sono congeniali agli annunci densi di destino che attendono il pontefice esploratore del futuro, rigeneratore dell’Occidente (atei compresi). Quando verrà, intraprenderà cammini drasticamente nuovi. Proporrà persino nuovi modi di pensare Dio. I modi vecchi, ha osservato il teologo Vito Mancuso, facilitano il passaggio all’ateismo. Dovranno essere lasciati cadere assiomi quali l’immenso amore del Padre; la sua diretta creazione di ogni vita umana (compresa quella degli storpi, dei ciechi nati, di tanti altri condannati senza pietà); la concezione che ogni singolo incremento demografico è un dono. E molto altro.

La modernità in apparenza trionfa. In realtà è desolatamente povera di modelli alti. E’ orfana della speranza. Sarà stordita dal sorgere del Condottiero dei pensieri e delle azioni quale un giorno un papa potrà rivelarsi, il capo di una superpotenza no. Rifiutare le nequizie  della Babilonia meretrix sarà un’epifania fiammeggiante, il compimento di promesse profetiche.

l’Ussita


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