Lazar, il noto professore al parigino Istituto di studi politici, è l’autore di “Stanchi di miracoli. Il sistema politico italiano in cerca di normalità”. Conclude un suo altro lavoro sullo Stivale (“Democrazia alla prova”, Laterza, 2007) con l’inquietante asserzione, all’ultima riga, ‘Il Sisifo moderno è indubbiamente italiano’. Siamo condannati all’infinito come Sisifo, figlio di Eolo fondatore di Corinto?
Non è detto. Non manca di significato la dedica di quest’ultimo lavoro: “Per Julie e Anna, che impareranno a conoscere e amare questo paese”. Uno degli studiosi stranieri che più sanno di noi (collabora regolarmente a ‘Repubblica’) sembra non nascondere qua e là che si attende dallo Stivale più innovazione che dalla sua Francia, con tutta la ‘mission exemplaire’ di un retaggio che risale all’Illuminismo, alla Rivoluzione e al titanico Bonaparte. “Democrazia alla prova” è soprattutto dedicato al moment Berlusconi, cioè a una parentesi sciaguratamente lunga, ma se Dio vuole quasi spenta. Non per questo il lavoro è obsoleto. Offre significative intuizioni e constatazioni, le più importanti delle quali trascriviamo qui di seguito.
Uscito all’indomani delle elezioni dell’aprile 2006, vinte per un pelo dal centro-sinistra, il libro di Lazar addita il pericolo che ‘la banalizzazione democratica’ produca delusione. “La democrazia liberale e rappresentativa ha cercato di difendersi, ma sbocciavano forme di democrazia partecipativa che hanno preteso di sostituirsi ai partiti. Le loro taglienti critiche al centro-sinistra hanno avuto il merito di costringerlo a muoversi. Esso commetterebe un grave errore se desse la sensazione di ridursi a un’oligarchia divisa in fazioni che si battono per spartirsi le poltrone e i palazzi della Repubblica (…) I cittadini non si accontentano più d’essere convocati alle elezioni ogni cinque anni. Il centro-sinistra sembra disarmato nel dibattito culturale, ma “è paradossale: la sinistra italiana è andata molto oltre la sinistra francese nel rivedere le proprie posizioni”.
Per Lazar il tema del declino (=’della decadenza’) dell’Italia “rafforza la propensione nazionale ad autodenigrarsi.. Anche Francia e Germania sono ‘grandi malati d’Europa’. I pericoli per la democrazia minacciano l’assieme dei paesi occidentali. Sempre più indifferenti alla politica, maldisposti nei confronti delle istituzioni, delusi dai politici tradizionali, ostili alle elite, i popoli sembrano pronti a consegnarsi a demagoghi volti a rovesciare la democrazia”. Inoltre: “La Costituzione italiana è quasi impossibile da emendare ma presenta un carattere incompiuto. E’ un documento sacro per la sinistra, che ne difende con intransigenza la lettera, i valori e le promesse (…) Si sviluppa così la partitocrazia, il potere quasi illimitato dei partiti. Pur essendo antifascisti, essi prolungano l’impronta del fascismo. Sottomettono e colonizzano lo Stato”.
Di conseguenza, la democrazia italiana “ha cominciato a oscillare nella banda della democrazia in qualche modo diretta, con una lunghezza di vantaggio sui suoi vicini europei. L’Italia entra nella ‘terza età della democrazia’, caratterizzata tra l’altro dallo scemare del ruolo dei partiti. Così la democrazia è in prova, alla deriva, mentre sperimenta vie diverse. L’italia è insieme in crisi e in corso d’ innovazione. Si è immersa brutalmente nella società dell’abbondanza e dell’opulenza, mentre agli inizi degli anni Cinquanta aveva ancora fame.”
Tuttavia il godimento consumistico “è solo uno degli elementi della società italiana. Il suo rovescio, pur minoritario, associa moralità economica e pubblica, ripensa l’etica, coltiva una certa austerità e frugalità. Addirittura pratica intensamente il volontariato. E’ favorevole alle esperienze di democrazia partecipativa. Si colloca a sinistra ma appare deluso dalla politica: tendenzialmente é astensionista, molto critico nei confronti del governo, scettico sull’opposizione”.
In economia, constata Lazar, “i ritmi della crescita sono rimasti mediocri, le imprese perdono competitività, il potere d’acquisto delle famiglie scende, la distanza tra ricchi e poveri si allarga. Il quadro è nero”. Dimentichiamo, esorta l’Autore, il fascino quasi leggendario dell’Italia: “0ra è il momento della povertà che erode l’assetto sociale. In breve, siamo al disagio collettivo. La forte diffidenza dei cittadini verso la maggior parte delle istituzioni e dei politici alimenta il dubbio e lo scetticismo diffusi.”.
Tutto questo non significa che l’Italia è condannata a vacillare, persino a crollare. La storia dimostra: “Ogni volta che il paese si è trovato in ginocchio, ha saputo rimettersi in piedi in modo spettacolare. Sarà così in questo inizio di millennio?”. Risposta: la salvezza non verrà soltanto dalla società civile, come pretende una vulgata assai diffusa. L’abilità di cavarsi d’impaccio, il dinamismo e l’ingegnosità non basteranno. Occorreranno, più ancora che nel passato, politiche pubbliche efficaci. “Questo suppone che le elite sappiano rifondare la propria legittimità e che la crisi della rappresentanza venga risolta”.
Segnalavamo nell’incipit il referto riassuntivo: “Il Sisifo moderno è indubbiamente italiano”. Tuttavia resta valida l’impressione: questo qualificato conoscitore delle nostre cose si attende che presto o tardi il Laboratorio Italia produca una formula radicalmente nuova rispetto ai logori congegni del partitismo/elettoralismo.
Jone