Uno che non abbia letto le 950 pagine de Il Capitale nel XXI secolo (titolo della traduzione italiana- Bompiani),e che non si proponga di farlo, in quanto poco attratto da alcuna rivisitazione di Karl Marx, sente l’obbligo di giustificarsi. Non si impegnerà sul pensiero di Thomas Piketty essendo convinto che la validità teorica di certi pensieri, persino sommi, sia di fatto irrilevante.
E’ invece decisivo capire chi porterebbe avanti in politica le teorie di Piketty. I precedenti fanno pensare che il braccio secolare del Maestro sarebbe, in Francia, il tradizionale progressismo a sinistra di Hollande: come a dire il quasi nulla. I precedenti sono, in particolare, che Piketty era stato consigliere economico di Ségolène Royal; e che, da presidente, Hollande si è rimangiato la promessa di una rivoluzione fiscale ampiamente ispirata alle proposte della Pikettynomics: “tassazione più progressiva non solo dei redditi, anche dei capitali; trattenute alla fonte; disincentivi alla ricchezza non guadagnata; controllo sul capitale”.
Dunque è verosimile che il marxismo XXI secolo sarà portato avanti dalla Gauche. Se così sarà, non avrà senso curarsene. Il sinistrismo alla Gauche, quello dei ‘diritti’ landinisti all’italiana, quello spagnolo del conato Zapatero, condannano all’insuccesso tutto ciò che toccano. Perché? Essenzialmente perché i sinistrismi sono sempre o insinceri o impotenti. Non sono credibili e non sono creduti. E’ fallito il comunismo serio, quello di Lenin e Stalin, dei Fronti popolari, delle grandi purghe e dei gulag; figuriamoci il gauchisme di Ségolène, Rodotà, Cuperlo, Camusso, di Sel e dei gruppuscoli che, come Il Manifesto, vivono un Avvento interminabile, l’attesa del ritorno del comunismo (versione terrazze romane/ombrelloni a Capalbio).
Nell’incipit abbiamo parlato di un generico “uno che non abbia letto, né intenda farlo, Il Capitale nel XXI secolo” . Volendo essere più specifici, tiriamo in ballo chi scrive questi mozziconi di righe. Costui sognerebbe misure più vicine ai gusti e ai criteri di Vo Nguyen (che come generale Giap umiliò la Francia e, infinitamente di più, gli USA) che alla linea di Piketty. Per riuscire, Giap si regolò all’opposto dell’economista, secondo il quale “la democrazia deve avere il controllo sul capitale”. La democrazia quale la conosciamo è, per il tedio e la diffidenza che ispira, certezza di insuccesso. La democrazia è, per esempio quella cosa per cui non si possono sbocconcellare di un decimo, a termini di diritti acquisiti, i più osceni tra i vitalizi dei nostri cleptocrati. Oppure scongiurare l’aumento della corruzione. Il metodo di Giap, più che sbocconcellare, cancellerabbe in toto i vitalizi, tranne quelli dei poveri assoluti. Meglio: Giap, che non si curava di democrazia, associerebbe cleptocrati ed ereditiere ai campi di rieducazione.
Dire male di questa democrazia è, come nel 1530 il fiorentino Francesco Ferrucci contestò a Fabrizio Maramaldo, “uccidere un morto”. Un morto è la democrazia che piace a Piketty, se vuole darle il controllo del capitale. Lungi dal vostro scribacchiante voler difendere il capitale: è questa democrazia che non merita di controllare alcunchè. Il montare delle disuguaglianze, l’immanità delle fortune ereditate o apertamente colpevoli sono consustanziali alla democrazia elettorale-partitica: consustanziali non solo agli Stock Exchanges di Londra e di New York, anche di dovunque si blateri di democrazia.
I controlli sul capitale che Piketty invoca, affidiamoli a Giap. Quelli operati dalla democrazia li conosciamo: alle ereditiere piacciono, e i tycoons con la mansion nel Connecticut non si lamentano.
Anthony Cobeinsy