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E’ PIACIUTO A MACHIAVELLI RE BORGIO IL NUOVO PRINCIPE

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Questo quasi-monarca che sembra sul punto di abdicare ha avuto il merito grande di deporre Berlusconi, pessimo fra i governanti; poi l’altro merito di non avere sabotato l’ascesa di Matteo Renzi monoculus in orbe caecorum (=il meno peggio tra i Proci della politica). Per il resto, meno male che abdicherà.

Per otto anni ha impersonato buona parte dei mali che materiano la Repubblica. Ha combinato la carica di capo dello Stato col ruolo di presidente della Casta. Ha incarnato l’amoralità di fondo che da molti secoli innerva l’etica italiana. Amoralità cui Niccolò Machiavelli dette il nome, oltre che una sinistra teorizzazione.  Ha scritto uno storico tedesco: “Nei secoli a valle del magistero machiavellico, spentasi per intero la coscienza morale, la scelleratezza si configurò come il modo italiano di vedere le cose”.

A Machiavelli -il  Goebbels o il Loyola del “fare italiano”-  che amò i delitti del Principe per antonomasia Cesare Borgia, non può non essere piaciuta la mutazione di Giorgio Napolitano, da dirigente stalinista a sommo atlantista/militarista e a fautore 24 carati dell’assetto conservatore a gestione consociata capitale-malapolitica-burocrazia-sindacato. Ancor più Machiavelli deve avere prediletto questo ‘Principe’ di nascita napoletana, nella misura in cui assurse militando in campo proletario, poi amò senza riserve né vergogna lo sfarzo e gli stili del Quirinale, voluti dall’infame papato rinascimentale.

Invece questo re Giorgio avrebbe disgustato Machiavelli e Cesare Borgia se avesse fatto come Bergoglio: se avesse scelto la semplicità; se avesse imposto -come ne avrebbe avuto il potere- la chiusura del Quirinale e sue dipendenze, onde riparare argini e scuole, onde continuare a dare refezione scolastica ai bambini dei senza reddito, onde compiere altre buone azioni. Una sede più piccola e sobria, come a Roma abbondano, sarebbe bastata a non scendere sotto il livello delle presidenze germanica e francese. Non sarebbe piaciuto a Machiavelli e al primo Principe, questo re Giorgio, se in coerenza coll’antica milizia comunista avesse contrastato il nostro Afghanistan, gli F35, i sistemi d’arma e il rifiuto ad ogni sacrificio degli alti appannaggi e vitalizi. Se avesse combattuto altre infamie invece di rafforzarle.

Al Nuovo Principe che si è conformato al Segretario fiorentino e al duca Valentino, la ‘più bella delle Costituzioni’ assegna ingenti poteri esclusivi: il comando delle forze armate, la presidenza del  consiglio supremo di difesa, la dichiarazione dello stato di guerra, la ratifica dei trattati, la nomina dei senatori a vita e di alcuni membri della Corte costituzionale, ed altre prerogative.  In più, il capo dello Stato “rappresenta l’unità nazionale” (altra menzogna della Carta) e lo fa per ben sette anni, persino rinnovabili.

Se gli Dei ci volessero bene ci lascerebbero stracciare questa Costituzione e la corte che le fa da mastino. In particolare: per le necessità di rappresentanza e protocollari basterebbe un Primo Cittadino scelto ogni anno per sorteggio p.es. tra i magistrati più alti, o tra i magnifici rettori con pochi parenti in cattedra nei rispettivi atenei; si potrebbe allargare l’elenco dei sorteggiabili ad altri personaggi di oggettiva qualificazione; si potrebbe prendere random  una persona rispettabile e dotata di qualche qualità.

Quasi tutti i poteri attuali dell’uomo del Colle dovrebbero passare a un capo del governo eletto dai cittadini. Non perché l’elezione diretta sia garanzia di buongoverno: dimostrano il contrario Francia, Stati Uniti e frotte di repubbliche presidenziali. Tra l’altro, uno dei requisiti per entrare nelle varie Case Bianche è poter spendere molto più dei rivali per la campagna elettorale e per comprare voti.  Tuttavia la responsabilizzazione spinta di un premier forte, o meglio Cancelliere, sarebbe una svolta semplicemente razionale. Sarebbe la cosa da fare, prima del passaggio alla democrazia diretta.

Il parlamentarismo quale lo conosciamo ha devastato vari sistemi politici: uccise due repubbliche in Francia, condannò la Germania di Weimar, l’Italia di Facta Turati e Sturzo, la Spagna e il Portogallo dei notabili liberalconservatori (facilmente liquidati dai pronunciamenti militari: a Madrid nel 1923, a Lisbona tre anni dopo). Il parlamentarismo è un assetto immancabilmente negativo. Le  Camere hanno un senso in quanto intralcino gli esecutivi, non in quanto deliberino. Sono gli stati generali delle caste dei politici di carriera. Sono i  frutti velenosi della degenerazione elettoralistica. Se le riforme di Renzi falliranno, sarà perché esiste il parlamento.

Tutti i sistemi occidentali, quali prima quali dopo, evolveranno verso qualche forma di democrazia diretta (anche là dove le istituzioni tradizionali sembreranno sopravvivere). Il parlamento -la Casta- non vorrà mai le riforme rigeneratrici, così come non le vorranno la burocrazia, il malocapitalismo, i malisindacati, gli altri poteri costituiti. I progetti straordinari esigono menti e tempre straordinarie. Esigono uomini d’eccezione: più spesso che no, un uomo solo, superiore a tutti gli altri.

Quando il meccanismo della rappresentanza sarà fermato e le elezioni abolite, quando il popolo si riapproprierà della sovranità, alcuni organismi deliberativi resteranno, ma saranno molto diversi.  Anche il capo dello Stato non assomiglierà in nulla all’attuale, anche perché agirà per mandati brevissimi. Servirà soprattutto per esonerare il Governante dai compiti perditempo (ricevere gli ambasciatori, presenziare alle celebrazioni, inaugurare, commemorare, ammonire a vuoto). Questo arconte cerimoniale non avrà l’obbligo d’essere discepolo di Machiavelli, come lo ha avuto re Giorgio.

Certo meriterà più rispetto.

Porfirio


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