Sono cresciuta in un paese di piccola montagna, nell’interno della Puglia. Un paese fatto di case che sembrano uscire dalla terra collinosa, con i suoi alberi selvatici, i suoi cespugli cupi. Un paese che ha la dignità della gente di montagna, e non la fama. Ci sono reminiscenze antiche un pò dovunque, nella terra, nei costumi. Ci sono tracce di Albania nel parlato più stretto degli anziani, nei ricordi stranieri e sofferti delle loro menti.
Ci sono nuovi palazzi e spiazzi, e tracce inevitabili di modernità, oltre alla vecchia piazza, da sempre luogo di incontri e di socialità.
Naturalmente anch’io ho avuto voglia di migrare, di andare altrove, per formazione, per conoscenza, per curiosità. E poi sono tornata, per la voglia di stare un pò lontana da un ritmo quotidiano troppo incalzante, lontana dal frastuono delle idee. In fondo le idee non hanno bosogno di grandi spazi, hanno bisogno di spazio interiore.
Ho ritrovato una dimensione umana accettabile, la vicinanza con l’essenza delle cose. E’ stato da più parti ribadito l’ “elogio della lentezza”. Entro certi limiti, é un concetto auspicabile. Sentirsi parte di un paese, di una comunità, condividere esperienze, progetti, difficoltà é più umano. Vuol dire non sentirsi alieni. Qui il ritmo della vita é moderato. Certo ci sono problemi e angustie. L’angustia é un retaggio atavico, ci accompagna dalla notte dei tempi. Ma la gente vi é abituata. Sa che fa parte del normale corso degli eventi. Forse qui si é ancora capaci di distinguere ciò che é essenziale da ciò che é solo in corso con i tempi. Le ore scorrono più lente. Si riscopre la Natura, la campagna, le stagioni. Torna il ricordo di usanze e festività, si recuperano abitudini e folklore, con la inconscia buona volontà di credere che antico é bello. E allora si riscopre la forza aggregante, la vivacità, l’ allegria sana di riti e cerimoniali. Torna il paese a riunirsi intorno all’accensione della ” Fòcara.
La Fòcara é un grande falò acceso nel paese a metà gennaio, con i rami risultanti dalla potatura di ulivi e di vigneti. Non si hanno notizie certe sull’origine di questo rito che pare possa risalire al medioevo, commistione confusa di rito cristiano e pagano. Fòcara viene da fuoco, fuoco che brucia e purifica, ma anche dà luce.
Si radunano tutti intorno a questo grande falò che può raggiungere i 25 metri di altezza. Un abbaglio notturno, rallegrato dal grande strepitìo dei rami secchi. Il calore si diffonde e accomuna, l’occasione spinge a guadare quanto più alto in cielo, per scoprire le stelle, per accogliere la luce, forse per dare il benvenuto ad una Luce che rischiari, al discendere della Speranza in un mondo di buio. La Fòcara infatti si accende di notte.
Rosella De Giois